I primi caratteri greci della storia
Il primo tentativo di stampare qualcosa in lettere greche risale al 1465, ad opera di Fust e Schoeffer, ossia coloro che avevano rilevato l’officina tipografica di Gutenberg dopo una causa legale.
L’opera è un testo in latino di Cicerone in cui comparivano brevi citazioni dal greco. È il primo libro classico stampato oltralpe, mentre in Italia stava uscendo un’edizione del De Oratore a Subiaco, ad opera di stampatori tedeschi appena arrivati con la nuova tecnologia.
Evidentemente la presenza di parole greche aveva spiazzato Fust e Schoeffer, che avevano realizzato fino a quel momento solo lettere latine.
Piuttosto che fermare la produzione in attesa di mettere a punto un font completo di greco, o anche solo le lettere necessarie, accroccarono qualcosa alla meno peggio in maniera tale da rendere lontanamente l’idea di quello che c’era scritto.
Su Bridwell.omeka.net si può vedere una delle citazioni.
Secondo il sito della libreria di Princeton ci sarebbe scritto, in greco: “Solo ciò che è morale è buono”.
Il sito riporta la frase in lettere greche, e anche senza parlare la lingua ci rendiamo conto che qualcosa non va.
Quando in greco compare una lettera a forma di v, nel libro quattrocentesco troviamo una K capovolta.
In confronto alle parole latine, il testo sembrerebbe scritto in maiuscolo. Tuttavia la forma della alfa è quella di una a latina minuscola.
La T viene messa al posto della tau, ma
anche della gamma. Al posto della theta c’è una lettera gotica
coricata. Al posto della mu c’è una specie di X che si confonde
con le K ribaltate. C’è una a anche al posto della lambda. E nemmeno la sequenza delle lettere è quella
giusta.
Il libro può essere comodamente sfogliato sul sito della stessa libreria di Princeton. L’impaginazione è molto pulita, si vedono i segni a matita con la “gabbia” in cui inserire il testo, giustificato alla perfezione.
L’inchiostro è nero in gran parte, ma i titoli dei capitoli e qualche altro elemento sono in rosso, mentre i capolettera da due righe sono miniati a mano.
C’è parecchio margine bianco intorno, secondo i nostri standard, qua e là annotato dal lettore.
Una decina di parole per riga, ventotto righe per pagina.
Il file è di 188 pagine, incluse le copertine.
È un libro diverso da quello che si vede nelle foto su Omeka: ovviamente la parte stampata è uguale, ma le decorazioni sono state aggiunte da una mano diversa. Su Omeka vediamo che la Q di apertura è colorata di blu mentre tutti i ghirigori intorno sono composti solo da linee di contorno; sul sito di Princeton vediamo una Q più sottile e con coda corta, all’interno di un rettangolo dorato riempito di motivi floreali e non collegato con la decorazione nel margine, fatta di fiori coloratissimi e foglie.
Anche i capolettera sono in stile completamente diverso: su Omeka vediamo accanto alla citazione greca una I sottile, sinuosa e svolazzante, tutta in blu, mentre sul sito di Princeton troviamo una I di sole tre righe, con un contorno spinoso e riempita di vari colori.
Insomma, fatico un po’ a trovare la citazione greca, a pagina 162.
Ma questo mi costringe a soffermarmi un
po’ di più sui contenuti, per cui noto anche alcune delle altre.
A pagina 166 per esempio, e a pagina 172.
Questo goffo tentativo evidentemente è entrato nella storia della tipografia, visto che viene citato anche nel manuale tipografico di Bodoni, all’inizio dell’Ottocento.
“Era la Tipografia per così dire ancora in culla, quando cominciò a riconoscere che le bisognava potere eziandio presentare agli occhi eruditi la scrittura Greca. Sono celebri nella storia dell’invenzion della stampa Giovanni Fust e il suo famiglio e garzone Pietro Sceffero; e celebre sì è l’edizion loro degli Uffizi di Cicerone coi Paradossi. … Ora in essa in testa a ciascun paradosso veggiamo la proposizion greca in Greche lettere, benché rozzamente formate e scorrettissimamente composte”.
Il secondo tentativo citato da Bodoni, più riuscito, è il Lattanzio stampato da Schweinheim e Pannartz in Italia nel 1468. Il risultato era migliore, anche se “non si può dire che avessero eglino spianate e vinte le difficoltà particolari della greca tipografia”, scriveva Bodoni.
Il testo dell’introduzione al manuale tipografico di Bodoni può essere letto gratuitamente nei file disponibili su Liber Liber.
Si tratta di una trascrizione letterale del documento, che offre il vantaggio di poter cercare parole specifiche al suo interno coi normali software, oppure di copiaincollare a piacimento.
Se qualcuno è interessato a vedere le scannerizzazioni dell’edizione originale del manuale, queste pure sono disponibili online e sfogliabili a piacimento, senza registrazione.
Per qualche motivo Google restituisce risultati fuorvianti, ma il sito di riferimento, è risaputo, è Biblioteca Bodoni.
Il Manuale Tipografico contiene, dopo le introduzioni, specimen di tutti i caratteri a cui il famoso incisore italiano aveva lavorato nel corso della sua vita. Il primo volume è dedicato ai caratteri latini di tutte le dimensioni, il secondo a quelli stranieri ed esotici, oltre che agli ornamenti tipografici.
I font greci occupano buona parte del secondo volume, dato che erano molto richiesti dagli editori italiani. Erano anche complicati da realizzare, dato che, con tutti i segni diacritici che bisognava aggiungere, si arrivava a oltre cento punzoni per ciascun font.
Gli specimen di Bodoni possono sembrare deludenti, a prima vista, a un tipografo moderno, visto che si tratta di lettere romane sempre nello stesso stile ripetute in tutte le dimensioni, sempre in orizzontale, nero su fondo bianco, fino alla nausea. In realtà bisogna tenere conto che all’epoca non esistevano i caratteri scalabili, e nemmeno i pantografi industriali. L’incisore doveva lavorare a mano su ciascun carattere per ciascuna dimensione, e chiaramente variava i dettagli a seconda delle esigenze (proporzioni, contrasto, larghezza, estensione di tratti ascendenti e discendenti). Insomma il Bodoni greco in dimensioni più grandi è diverso dal Bodoni greco in dimensioni più piccole, anche se è ispirato allo stesso stile.
L’introduzione al Manuale può essere significativa anche al giorno d’oggi, sia perché rende l’idea di quanto era diverso il modo di ragionare e di parlare, sia per rendersi conto della profonda cultura che animava Bodoni nel suo lavoro, sia per ammirare la cura che ci metteva nel raggiungere i suoi obiettivi: “Tanto più bello sarà dunque un carattere quanto avrà più regolarità, nettezza, buon gusto e grazia”, diceva, e dava la definizione di ciascuno di questi elementi.
“L’idea del bello non dee certamente confondersi con quelle del buono e dell’utile; ma elle sono però come tre diversi aspetti di una cosa sola veduta da tre diversi lati”, scriveva. “La stampa di un buon libro tanto più giova quanto essa da più gente e più volte e più volentieri e più speditamente il fa leggere: poiché col moltiplicarsene le letture si moltiplica insieme il piacere e il vantaggio che debbono esse recare agli animi, essendo il libro supposto buono”.
Fa impressione leggere certe parole oggi, mentre le deformità e le scelte senza senso prodotte dall’intelligenza artificiale si stanno insinuando anche nel mondo tipografico.
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