Stampa con pressa Boston

Cinque anni fa il Museo della Stampa e Stampa d'Arte di Lodi ha pubblicato un video di un paio di minuti per mostrare come si stampava con una pressa tipografica da banco a platina Boston del 1920.

Su un sottofondo di musica jazz vengono mostrate le varie operazioni da compiere, senza parole ma con qualche didascalia in italiano che compare qua e là tra le immagini montate. 

I video in italiano sono relativamente rari sul web, per cui non sto molto in confidenza con la terminologia italiana. Qui il piatto su cui veniva messo l'inchiostro viene chiamato "piattello", mentre la forma in rilievo che viene inchiostrata viene chiamata "matrice", termine che può confondere perché esistono altri oggetti in campo tipografico che vengono chiamati matrici. 

Nel 1920 esistevano già presse da stampa di grandi dimensioni i cui movimenti erano generati grazie all'energia elettrica. Esistevano anche presse di dimensioni più piccole, che venivano appoggiate sul pavimento e mantenute in funzione con la pressione ritmica del piede dell'operatore sul pedale, mentre con le mani l'operatore stesso metteva e toglieva i fogli quando i due piani non erano a contatto. 

La Boston in questione invece era di dimensioni più piccole, tanto da poter essere appoggiata su un banco, e non aveva ingranaggi in grado di mantenerla in funzione in maniera continuativa. Per ogni stampa l'operatore doveva tirare verso il basso una leva alla sua sinistra. 

La forma o matrice veniva montata su un piano verticale, mentre un altro piano, quando veniva tirata la leva, vi premeva contro avvicinandosi da davanti, dal lato dell'operatore insomma. 

La leva comandava anche lo spostamento dei tre rulli che passavano prima sul piattello in alto e poi sulla matrice in basso. Inoltre provocava anche la rotazione di alcuni gradi del piattello, in maniera tale da avere una inchiostratura uniforme. 

Quindi l'operatore, dopo avere preparato l'inchiostro, lo applicava sul piattello e tirava più volte la leva, a vuoto, fino a quanto l'inchiostro non fosse sparso uniformemente su tutta la superficie del piattello.

Poi montava la matrice, e di nuovo faceva funzionare la macchina a vuoto per assicurarsi che una quantità sufficiente di inchiostro fosse trasferita sulla matrice. 

Solo a questo punto poteva posizionare il foglio e ottenere la stampa. 

Nel video l'aspetto del posizionamento del foglio viene un po' trascurato. Si vede il tipografo che appoggia il foglio su alcuni fermagli con un semplice gesto, e la stampa viene fuori perfettamente centrata. In realtà c'era tutto un lavoro di preparazione da fare, perché quei fermagli andavano posizionati a mano con cura e con estrema precisione, tenuto conto delle dimensioni del foglio in uso. 

Tra l'altro io qui li chiamo fermagli ma non so quale fosse il nome in uso tra i tipografi. 

Una foto di una pressa Boston si può vedere sul sito Lombardia Beni Culturali. La macchina qui viene chiamata "pedalina", anche se in effetti non c'è nessun pedale. 

Inoltre non sembra che fosse appoggiata sul banco, come poteva succedere con alcune presse per piccoli formati: più che altro sembra fissata al banco tramite dei bulloni. 

La descrizione spiega il funzionamento della platina, distinta dalle macchine piano-cilindriche, dalle rotative e dai più vecchi torchi perché qui ci sono due piani che si chiudono a conchiglia. 

Il testo è in italiano, ma la terminologia lascia qualche ambiguità: "Nel porta forma si inserisce una cassa contenente i caratteri che formano il testo da stampare", dice il sito. 

In realtà con la parola cassa i tipografi indicavano un cassetto suddiviso in scompartimenti in ciascuno dei quali c'erano tutti gli esemplari di una lettera dell'alfabeto o altro segno tipografico. La forma era invece era costituita dal testo composto, inserito all'interno di una cornice e immobilizzato grazie a marginature e cunei serraforma. 

Il piattello qui viene chiamato inzialmente "disco" e poi "calamaio". 

Questa pressa veniva "utilizzata soprattutto in piccole tipografie per formati e tirature limitate". 

Segue un paragrafo contenente la storia delle presse da stampa di piccole dimensioni, a partire dal torchio a vite di Gutenberg, il cui schema costruttivo rimase invariato fino all'Ottocento, fermo restando che con la società industriale si iniziò ad utilizzare il metallo al posto del legno. 

Vengono citate le pedaline italiane prodotte dalla ditta Saroglia, e le platine successivamente prodotte dalla Heidelberg, che funzionavano a corrente e avevano anche un dispositivo automatico in grado di prelevare il foglio da stampare e di riporre i fogli stampati. 

Il costruttore della Boston fotografata viene identificato in C. M. Zini. L'anno è tra il 1876 e il 1902. Si parla anche di una società Pergola che sarebbe il venditore. 

Le misure sono 141 x 66 x 58 cm, immagino incluso il mobiletto ma non so se anche la leva. Non si parla di peso.

L'esemplare fotografato è esposto al Museo Nazionale della Scienza e della Tecnologia Leonardo Da Vinci di Milano. 

Non si dice nulla a proposito della progettazione. Si chiamava Boston perché era derivazione americana o solo perché si trattava di un nome suggestivo? Con queste caratteristiche veniva prodotta solo in Italia o c'erano aziende diverse che la producevano in altri paesi?

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