Puntini al posto dei numeri
Ogni tanto passo sul blog della Folger Shakespeare Library dove si trovano spunti interessanti riguardanti libri d'epoca. L'ultimo post che hanno pubblicato mostra una serie di puntini e barre che compaiono scritti da qualche parte su alcuni libri di contabilità cinquecenteschi. Di che si tratta?
In pratica, all'epoca non era così scontato che per fare i calcoli bisognasse riempire i fogli di numeri incolonnati in base dieci. Ricordiamo che anticamente, prima che entrasse in uso la carta, i supporti su cui scrivere erano rari e molto costosi. Quindi erano stati elaborati degli strumenti di calcolo che funzionavano come i nostri pallottolieri per bambini. I contabili professionisti erano addestrati a ragionare con quel sistema lì, dove i numeri vengono rappresentati come oggetti tutti uguali che vengono aggiunti o tolti in una certa posizione ad indicare una certa quantità.
Mentre nel pallottolieri per bambini gli oggetti sono palline perforate e infilate su varie stecche, in epoca antica si usava un sistema basato su pietre sfuse da disporre su una tavola con vari riquadri. In seguito, quelli che in origine dovevano essere semplici sassi vennero sostituiti con gettoni. Oggetti che a prima vista sembrano monete, ma non venivano utilizzate negli scambi bensì solo nei calcoli.
Possiamo facilmente immaginare come potrebbe funzionare un sistema del genere: dividi la tavola in varie colonne, con le unità a destra, poi le decine, le centinaia, le migliaia, eccetera. Per indicare 93 metti nove gettoni nella colonna delle decine e 3 in quella delle unità. Ci vuoi aggiungere il numero 128, aggiungi 1 gettone nella colonna delle centinaia, due in quella delle decine e otto in quella delle unità. Quando su una colonna ci sono più di dieci gettoni, ne togli dieci e ne aggiungi uno nella colonna alla sua sinistra.
Il problema è che ragionando in questo modo hai bisogno di un numero molto alto di gettoni. Per il numero 999 te ne servono 27 (9+9+9).
Un modo per ridurre il numero di gettoni necessari è dividere la tabella in due parti. Nella parte superiore, il valore di un gettone anziché corrispondere a una unità può corrispondere a cinque. Per ottenere il numero 9, metti un gettone nella parte superiore, che vale 5, e quattro nella parte inferiore. Potendo contare fino a 9 con soli 5 gettoni, il sistema diventa più pratico, non solo perché occupa meno spazio e costa meno, ma anche perché è più facile riconoscere i numeri. E' scientificamente dimostrato che la mente umana non è in grado di distinguere al volo la differenza tra 8 e 9 monete in una fila, mentre tra tre e quattro la differenza si nota subito.
Tuttavia c'è una complicazione ulteriore: mentre noi diamo per scontato che la base 10 è l'unica base concepibile, gli antichi avevano sistemi di numerazione diversi che coesistevano nello stesso calcolo.
Parlando di monete, gli inglesi avevano i penny, gli scellini e le sterline, e il rapporto tra un'unità di misura e l'altra era lo stesso ideato ai tempi di Carlo Magno, poco dopo la caduta dell'impero romano. Servivano 12 penny per ottenere uno scellino, e 20 scellini per ottenere una sterlina. Il penny non era come uno dei nostri centesimi: in una sterlina c'erano 240 penny.
Contando i soldi quindi avremmo tre colonne (sterline, scellini, penny). Il riporto non avverrebbe ogni 10, dato che 10 scellini non fanno una sterlina, ma solo mezza.
Quindi si stabilì che il gettone superiore se messo sulla destra valeva 5, se messo sulla sinistra valeva 10.
Un gettone sopra e uno sotto poteva indicare 11 oppure 6, a seconda se quello superiore era a sinistra o a destra.
Ma questo poteva essere vero nella colonna degli scellini. E in quella dei pence? Dato che ne bastavano 12 per ottenere uno scellino, allora lo spazio superiore indicava mezza dozzina, cioè 6. In questa colonna, uno sopra e uno sotto indicava 7 (mezza dozzina più uno).
E per i numeri più grandi? Beh, si poteva ragionare tranquillamente in base 10, che era il sistema più comodo. ma data l'importanza del numero 20 in quel sistema di numerazione, esisteva anche lo "score of pounds", la ventina di sterline, che era un'unità di uso comune.
Qui ogni gettone valeva 20 unità, e poteva non essere necessario metterne qualcuno nella parte superiore se c'erano altre colonne, perché dopo quattro ventine, la quinta forma il centinaio, quindi si svuota la colonna e si aumenta un gettone nella colonna delle centinaia.
I contabili all'epoca erano addestrati a ragionare in questo modo, quindi anche quando dovevano registrare i numeri su un foglio tendevano a farlo con questo sistema, anziché scrivere le cifre. Puntini al posto dei gettoni, e barre oblique a separare una colonna dall'altra.
Ovviamente, per decifrare ogni valore bisogna conoscere il contesto, sapere a cosa si riferisce. Nelle monete si contava per dozzine e per ventine, mentre negli altri calcoli magari no.
L'articolo della Folger mostra le foto di alcuni prezzi scritti a mano sui libri d'epoca, la foto di uno di questi gettoni su cui è raffigurato un contabile che conta i gettoni stessi, un tavolo con le caselle e le indicazioni in cifre romane, illustrazioni d'epoca e pagine di libri stampati che spiegavano il funzionamento di questo sistema ai mercanti.
In un libro del Cinquecento notiamo che tutto il testo è impaginato in stile old english, mentre l'intestazione della pagina è tutta in maiuscole romane, con la V al posto della U.
In un libro simile del Seicento notiamo che il testo è ancora in stile gotico, tuttavia alcune parole sono messe in evidenza usando lettere in stile romano, ossia le stesse che utilizziamo noi.
Non solo: alcuni paragrafi sono in corsivo italico.
I titoli sono pure in stile romano, ma stavolta anche con le minuscole.
Viene usata la v al posto della u anche nel minuscolo dove è più comune il contrario, mentre la s ha la forma lunga, che è come una f senza trattino.
La pagina web si chiude con le foto di alcuni disegnini che qualche studente dell'epoca realizzò nello spazio bianco accanto al testo, per svagarsi un po' durante lo studio.
La teoria può essere facile da comprendere, ma la pratica a prima vista è allucinante.
Il testo seicentesco ci fa un esempio con 22 punti. Uno in alto a destra più quattro nella prima colonna, uno a destra e uno a sinistra in alto più tre sulla seconda colonna, uno a sinistra e uno a destra in alto più quattro sulla terza, infine uno a destra più cinque sulla quarta.
La cifra indicata è 198 sterline, 19 scellini e 11 penny.
Cosa?!? Come ci si arriva?!?
La prima colonna a sinistra è quella delle ventine. Il punto sulla destra indica 5, più i quattro punti sottostanti arriviamo a 9. Nove ventine sarebbe 180.
Nella seconda colonna il punto sulla sinistra vale 10, quello sulla destra vale 5, più i tre sottostanti fa 18. 180+18 fa 198 sterline. Ok.
Gli scellini sono 10+5+4=19, e questa è facile.
E i penny? Dobbiamo ricordarci che un punto in alto a destra qui non vale 5, bensì 6, ossia mezzo scellino! Quindi uno da 6 più le cinque unità sottostanti fa effettivamente 11!
Noto un altro dettaglio: le unità di misura nel testo. A quanto pare la sterlina è indicata da un glifo strano, mai visto. Gli scellini sono indicati da una s con un punto sovrastante. E i penny da una d gotica.
Oggi il simbolo della sterlina britannica è una specie di L calligrafica con un tratto orizzontale a mezza altezza. Ricorda quello che era usato per la lira italiana, dove però i tratti orizzontali erano preferibilmente due.
Si è scelta la L perché nel sistema monetario inventato all'epoca di Carlo Magno l'unità di misura era la libbra d'argento, da cui deriva anche la parola italiana lira.
Non ho trovato pagine che spiegano l'evoluzione tipografica del simbolo della sterlina dalle origini. Comunque il Royal Mint Museum ci spiega che già dal Seicento era stata scelta la lettera L per indicare la sterlina, e che anche la s e la d derivano da parole latine. La s non deriva da scellino ma da solidus, mentre la d rappresenterebbe il denarius.
Nella monetazione carolingia venivano coniate solo monete da un denaro, mentre nell'uso comune si usavano i multipli soldo, per indicare 12 denari, e lira appunto per indicare 240 denari, ossia 20 soldi.
Queste proporzioni vennero utilizzate anche in sistemi monetari successivi in Francia, Spagna e Germania oltre che in Italia, ma sono associate soprattutto alla Gran Bretagna che continuò a usarle fino a tempi recenti, abbandonandole solo nel 1971. Oggi la parola penny esiste ancora, ma indica il normale centesimo di sterlina.
Non tutti sanno che: la parola penny in inglese ha due plurali, a seconda se indica le monete o il valore. Il prezzo di un oggetto può essere di due pence, ma se prendo dalla tasca due monete da un penny sono due pennies!
Nell'immaginario collettivo i gettoni da calcolo praticamente non esistono. Le fonti italiane sul web che ne parlano sono poche e poco autorevoli. Capita ogni tanto che qualcuno trovi antiche monete che poi si rivelano essere dei gettoni da calcolo.
Per motivi di prestigio, autorità e personalità ci tenevano a far coniare gettoni da calcolo con le proprie insegne e i propri motti.
Ed era nato il rito di coniare un nuovo set ogni anno, a quanto scrive il blog Grammi Di Storia, mentre quello vecchio veniva gettato nel fiume.
La cosa può far piacere ai collezionisti, sempre che ce ne siano.
Una pagina in italiano che parla dei gettoni da calcolo, in breve, è su un altro blog Archeocomputing, datata 2011.
Qui c'è una foto di alcuni di questi antichi gettoni, francesi, che si distinguono dalle monete perché non c'è nessun valore indicato sopra.
E c'è un disegno che raffigura la cosiddetta Scacchiera di Gerberto, che è un'evoluzione successiva di questo metodo. Anziché usare gettoni da uno, in questo caso si usavano gettoni con un valore numerico indicato in numeri arabi, ossia quelli di derivazione indiana.
Si tratta di una delle prime applicazioni dei numeri che utilizziamo noi, solo che a quell'epoca non c'era consenso su quale forma doveva avere ogni cifra, per cui nel disegno veiamo dei simboli che ai nostri occhi sono illeggibili. Possiamo intuire qual è l'1 e qual è l'8. Ce n'è uno con due segmenti ad angolo che potrebbe essere un 7, ma orientato diversamente rispetto a come ci aspetteremmo. C'è qualcosa che ricorda un 4 aperto, ma con un lato curvo, o un 9 a spirale, ma altri sono indescrivibili perché non somigliano a nessun segno ancora in uso al giorno d'oggi.
Le indicazioni sulle colonne invece erano in numeri romani: i, x, c per le prime tre a partire da destra, e di nuovo le stesse lettere ma con un trattino che le sovrasta per indicare unità, decine e centinaia di migliaia.
Vediamo numerose caselle vuote: i gettoni col numero 0 non esistevano. Per rappresentare il numero 100 bastava un solo gettone da uno, da posizionare nella colonna delle centinaia.



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