Testimoni della fotocomposizione

Quando i sistemi per la fotocomposizione stavano cadendo in disuso a causa della diffusione dei personal computer negli anni Novanta qualcuno ha provato a raccontare cosa era stato quel mondo che aveva visto nascere e che ora vedeva scomparire. Il risultato è un articolo che si può trovare ancora sul web, impaginato secondo lo stile dell'epoca: solo testo, nessuna immagine, font di sistema (nel mio caso Times New Roman) e tag html ridotte al minimo, solo per la divisione in paragrafi e la titolazione in h2 e h3.

L'articolo, scritto da un certo Clark E. Coffee, è praticamente un documento storico perché racconta le cose dal punto di vista di chi le ha vissute in prima persona e cita apparecchiature e dettagli che difficilmente finiscono nelle timeline che vengono create dalle IA e dai siti-museo dedicati all'argomento. 

Sintetizzando per i non addetti ai lavori: dall'epoca di Gutenberg fino all'Ottocento per comporre un testo il tipografo doveva prendere a mano ciascuno dei caratteri mobili dagli appositi scompartimenti e allinearli a comporre le parole, e dopo avere stampato doveva rimetterli a posto uno alla volta; con la rivoluzione industriale vennero inventate delle macchine che permettevano di comporre il testo da stampare semplicemente digitandolo su una tastiera, senza doversi poi preoccupare di rimettere i caratteri al loro posto; quando si iniziò a stampare in offset vennero ideate delle macchine che permettevano di comporre il testo direttamente su carta o pellicola, sfruttando un raggio di luce che passava attraverso matrici in parte trasparenti. Questo sistema veniva chiamato composizione a freddo perché andava a sostituire quello a caldo che si basava sul piombo fuso. 

Le prime macchine per la fotocomposizione iniziarono a diffondersi nel periodo subito successivo alle seconda guerra mondiale, anche se l'articolo cita un esperimento tentato in Giappone già nel 1928. Le prime macchine per la fotocomposizione avevano delle matrici concrete attraverso cui passava la luce, sulle quali si potevano vedere le forme delle lettere che costituivano il font. In seguito vennero realizzate macchine a tubo catodico, che attingevano le informazioni da dischi digitali come quelli dei computer. I grandi "minicomputer" dell'epoca potevano essere utilizzati per automatizzare alcune operazioni delle macchine di questo tipo, come per esempio la sillabazione che in un primo momento doveva essere per forza decisa da un operatore in carne ed ossa. Gradualmente vennero sviluppati dei sistemi WYSIWYG (what you see is what you get), che permettevano di visualizzare un'anteprima del documento finito accanto al codice sorgente. Serviva un monitor aggiuntivo, che aumentava i costi. Solo alla fine fu possibile utilizzare un normale computer per eseguire tutte le operazioni di composizione e impaginazione. 

I vari sistemi sviluppati erano proprietari e molto diversi tra di loro. Le varie aziende citate progettavano macchine molto differenti rispetto a quelle della concorrenza. I font potevano essere realizzati su dischi rotanti o su griglie o su altri supporti incompatibili quelli delle altre macchine. Si trattava di prodotti molto costosi, che venivano venduti per stili singoli: ogni acquirente doveva scegliere se voleva anche il corsivo, il grassetto e il grassetto corsivo, ad esempio, a seconda delle sue esigenze e del budget disponibile. 

Un paragrafo riguarda anche la proprietà dei font. Mentre la Mergentaler vendeva il Times Roman, altre aziende vendevano dei font praticamente identici, cambiando la coda della Q e poco altro per potersi difendere in tribunale dalle cause legali che vennero ovviamente intentate. Compugraphic aveva realizzato il Toms Roman, mentre Singer vendeva il London. 

Più su nell'articolo si parla di un'altra battaglia legale riguardante i font, scoppiata quando un'azienda chiamata Storch aveva iniziato a produrre i font in un formato compatibile con la macchina VIP della Mergenthaler ad un prezzo molto ridotto. Il risultato fu che Mergenthaler fu costretta ad abbassare di molto il prezzo dei propri caratteri, che si rivelò un vantaggio visto che aumentarono le vendite della sua macchina. I fatti in questione si riferiscono agli anni Settanta, all'incirca. 

Qua e là emerge il ricordo dello shock che le macchine per la fotocomposizione provocarono nel settore tipografico, specie quando vennero integrate con i computer. Coloro che avevano imparato il mestiere di compositore e avevano cinquant'anni si trovavano da un momento all'altro tagliati fuori dal mondo del lavoro, visto che il loro mestiere non esisteva praticamente più. Perché pagare qualcuno per dividere le parole in sillabe, se un computer esegue l'operazione in automatico e a costo zero?

Nell'ultimo paragrafo si parla di un duro sciopero che ci fu alla fine degli anni Sessanta al San Rafael Independent Journal, vicino San Francisco, con tensioni così alte che sfociarono addirittura in un omicidio.

Più volte nel corso della storia della tipografia le innovazioni tecnologiche hanno provocato sconvolgimenti nel mondo del lavoro: da quando il torchio di Gutenberg ha reso superflui gli amanuensi, a quando nell'Ottocento le macchine a vapore hanno reso inutili i torcolieri; fino agli ultimi decenni del Novecento quando i computer hanno determinato lo smantellamento del reparto linotipisti nei giornali. Ora con l'invenzione dell'intelligenza artificiale parecchie persone temono di perdere il posto (grafici, cronisti...). E' davvero così drammatica la cosa, o i timori si sgonfieranno tra un po'?

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