Quanti caratteri in metallo?
L'invenzione della stampa a caratteri mobili da parte di Gutenberg si basava sull'esistenza di blocchetti di metallo su cui compariva, in rilievo, la forma rispecchiata della lettera dell'alfabeto o comunque del segno tipografico. Lo stampatore aveva a disposizione una cassa di caratteri suddivisa in tanti scompartimenti e doveva prendere le lettere una alla volta, a mano, per allinearle nel compositoio. Questo sistema rimase pressoché invariato per quattro secoli, e solo alla fine dell'Ottocento iniziò ad essere sostituito da sistemi di composizione a caldo in cui un operatore digitava il testo sulla tastiera e una macchina fabbricava sul momento tutti i caratteri necessari a partire dal piombo fuso e li disponeva nel corretto ordine.
Prima che venissero inventate queste macchine il tipografo doveva acquistare una certa quantità di caratteri dalla fonderia. Se li usava tutti per impaginare un certo numero di pagine, non poteva comporre altre pagine fino a quando non avesse finito di stampare quelle già composte, che poi andavano smontate a mano rimettendo a posto ogni carattere nel giusto scompartimento, uno a uno.
Noi oggi possiamo digitare sulla tastiera senza paura di finire le lettere. All'epoca le lettere erano limitate. Ma quante erano?
Se il grosso della popolazione oggi ignora anche che ci fosse questo problema, c'è qualcuno, qua e là che ha provato a dare una risposta super-accurata. Ad esempio sul sito Alembic Press è stato preparato uno schema dove è indicata la quantità di lettere che poteva entrare in ciascuno scompartimento della cassa.
Non tutte le lettere capitano con la stessa frequenza, in un testo. Quindi il tipografo doveva avere una quantità maggiore per le lettere più diffuse e una minore per quelle meno diffuse.
Nella tabella si vede per esempio che il settore più grande è quello dedicato alla lettera e, dove c'entravano 1200 pezzi. Di a se ne avevano a disposizione 850, le i e le o erano 800 ciascuna, le u solo 340.
Le q erano appena 50, le w 200. Ovviamente per ogni lingua le proporzioni dovevano cambiare: in italiano le q capitano molto più spesso delle w, ma non mi pare che online ci siano siti italiani dedicati all'argomento.
Purtroppo il sito lascia molto nel vago le informazioni sulle dimensioni dei caratteri. Chiaramente più grande era il font, meno esemplari c'entravano in ogni scompartimento. Per i caratteri enormi, da poster, venivano fornite non più di quattro o cinque E, ma in quel caso non venivano disposte nelle stesse casse progettate per i font piccoli.
L'articolo parla di "fount" anziché di "font". In Italia credo si parlasse di "polizze" per riferirsi a ciascuna ordinazione di un nuovo tipo di carattere che veniva fatta alla fonderia. Tuttavia il numero di caratteri che veniva fornito ad ogni ordinazione poteva eccedere la capacità di una singola cassa. Dovevano quindi essere smistati in varie casse differenti, o coppie di casse. Nel sistema originario infatti le maiuscole ed alcuni simboli si trovavano in una cassa diversa rispetto a quella delle minuscole: per impaginare un testo il tipografo si posizionava davanti le due casse, in basso quella delle minuscole e in alto quella delle maiuscole, da cui derivano i termini uppercase e lower case che si usano ancora oggi in inglese per indicare maiuscole e minuscole.
La stessa pagina di Alembic Press indica il peso in once dei caratteri che potevano essere messi in ciascun settore. Tutte le e pesavano 48 once (1 chilo e 360), le q solo 6 once (170 grammi).
Un'altra pagina sullo stesso sito invece fornisce le quantità di ciascun carattere all'interno del font, come veniva venduto dalla fonderia.
A seconda dell'uso che se ne doveva fare, si poteva acquistare un font con un numero di caratteri maggiore o minore.
In una polizza da 1000 libbre c'erano 1040 e e 48 q, abbastanza per riempire per intero una cassa di caratteri. Nel peso totale, oltre a maiuscole, minuscole, segni di interpunzione vari erano incluse anche le maiuscolette (con 32 A) e gli spazi e trattini di diverse larghezze.
Si poteva ordinare anche un font da 800 libbre, dove le a erano 8500, oppure uno da 20 libbre, dove le a erano tra le 200 e le 300, a seconda del produttore.
Con 20 libbre si potevano impaginare 48 righe lunghe 36 pica in corpo 12, ossia un rettangolo di sei pollici per otto.
A parte le unità di misura che oggi sono in disuso, un tipografo moderno rimane disorientato da tutte queste cifre: oggi basta incollare un testo in un riquadro e ingrandirlo e rimpicciolirlo a piacimento finché non si adatta allo spazio a disposizione. I numeri un grafico neanche li vede. All'epoca invece il lavoro doveva essere pianificato prima. Non solo il tipografo doveva procurarsi in precedenza tutti i caratteri di cui avrebbe potuto avere bisogno e nelle quantità giuste, ma nell'eseguire un singolo lavoro doveva fare dei calcoli prima di iniziare a comporre. Se abbiamo un testo da 300 parole e lo dobbiamo pubblicare a tutta pagina su un volantino, in quale dimensione dobbiamo lavorare? Oggi si va per tentativi, all'epoca i tipografi si preparavano delle tabelle per avere un'idea, in linea di massima, di quante parole per centimetro quadrato c'entravano per ciascuna dimensione di ciascun font, per poter fare la scelta giusta prima di iniziare. Se dopo che avevi composto un testo ti accorgevi che serviva un font di un punto più grande, l'unico modo di correggere l'errore era di rimettere a posto le lettere usate, una alla volta, e ricominciare da capo a comporre una lettera alla volta coi caratteri del font più grande!
Sempre su Alembic Press c'è una pagina dedicata alla distribuzione delle lettere nelle altre lingue.
Per ogni 100 mila caratteri in italiano si parla di 7550 a, 1000 q e 700 w.
Mentre in lingua olandese, francese e tedesca la lettera più diffusa è la e, in italiano è la i.
In questa pagina però non si parla di pesi e di dimensioni.
In corpo 12, 8500 volte la lettera a in Times New Roman riempiono quasi due pagine A4.
850 volte riempirebbero solo 9 righe e mezza, sempre in corpo 12.
Cerco qualche verifica chiedendo a Copilot, ma a quanto pare conosce solo questo sito.
In realtà un modo per farsi un'idea più precisa c'è: andare a vedere cosa dicevano i cataloghi d'epoca, che si possono consultare su Archive.org.
In un catalogo del 1950 della American Type Foundry, ad esempio, vediamo che per ogni font è indicata nel dettaglio la lista delle grandezze in cui veniva prodotto e la quantità di maiuscole, minuscole e numeri forniti, dando come riferimento solo la A, la a e l'1.
Ad esempio il corsivo calligrafico Adscript veniva prodotto in 12, 18, 24, 36 e 48 punti.
In corpo 12 c'erano 19 A, 49 a e 19 numeri 1. Con un'apposita tabella fornita a parte era possibile sapere quale era la quantità fornita di ciascuna altra lettera dell'alfabeto sulla base di questi dati.
C'era poi il peso in libbre e il prezzo per maiuscole, minuscoli, numeri, e pacchetto completo.
In un altro catalogo del 1955 la tabella delle quantità occupa una pagina intera: i riferimenti sono le A maiuscole o minuscole. Si va da 3 a 75 A per ciascun font.
Il numero di A corrisponde a quello delle lettere INORST. In un font da 3 A ci sono 2 BWY, 2 CL, 2 DHMPU, 4 E, 2 FG, 2 JKV, 2 QXZ, 2 punti e virgola, due punti, interrogativi e esclamativi. Con 75 A abbiamo 30 BWY, 50 CL, 40 DHMPU, 90 E, 35 FG e apostrofi, 12 JKV e punti, 11 QXZ& e altra punteggiatura.
Peccato che sul sito non ci siano anche cataloghi italiani dell'epoca.




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